Ho letto Gomorra in spiaggia, tutto d’un fiato, nell’estate 2006. Sono rimasta trafitta da un dolore inguaribile; eppure lo rileggerei.
La fiction, invece, non la guardo. Sento dire che è un capolavoro e che gli ascolti superano le aspettative, vedo intorno a me appassionati fan in preda a crisi di dipendenza, apprezzo l’orgoglio tutto italiano di difendere un lavoro ben fatto ma non ce la faccio proprio. Venduta in tutto il mondo, accende continuamente la mia curiosità, ma dopo meno di un minuto devo spegnere la TV.
Tutto quell’orrore non è alla mia portata e la mia patologica sensibilità mi pone dei limiti invalicabili.
In questo senso, sono senz’altro limitata.
Ma non andate a raccontare che Gomorra sia una fiction necessaria e di denuncia. Prima di tutto, da napoletana, trovo che la storia pur riflettendo la realtà ne falsi per necessità i tempi e le circostanze. E questo è un crudele sgarbo alla verità di quanti l’hanno combattuta e continuano a combatterla. E poi, non da meno, temo che la ferocia di quei personaggi cult che si stagliano potenti nel vuoto di coloro che li prendono a modello rischi di far scattare quasi un allarme sociale. Non è certo Gomorra il problema, ma nella solitudine disumana delle menti e dei cuori di tanti giovani che vagano senza ideologia e senza meta nelle strade di questa nostra deprivata Italia, quelle figure maestose, plumbee e spietate danno sicurezza e regalano evidentemente dei brividi che le loro annoiate vite non riescono neppure lontanamente a immaginare. Gomorra diventa il sogno del riscatto, la megalomania del male che può diventare realtà!
Che si fa, allora? Si censura? Assolutamente non è quello che vorrei. Ma lavoriamo tutti per rieducarci ed infiliamo in TV (che per quanto se ne dica male, resta il motore della persuasione) la potenza delle idee, la forza dei valori, la bellezza delle passioni. Raccontiamo storie sulla vita dei musicisti, dei pittori, dei poeti. Seminiamo piccole gioie ed emozioni autentiche. Insegniamo ad ascoltare il piacere del rumore del mare che s’infrange sugli scogli o la magia della pioggia che batte sui vetri. Aiutiamo a distinguere i colori e a tirare fuori con le note la parte marcia che ognuno di noi ha dentro. Spingiamo i giovani a riconoscere le proprie vocazioni. Pare che ognuno ne abbia almeno una. E se non ci fosse, invitiamo ad apprezzare quella degli altri.
Ma vi prego, basta con i kalashnikov!