La bellezza deserta di Roma

Nei giorni scorsi, indipendentemente dal credo religioso di ognuno di noi, sono passate in TV delle immagini di una potenza straordinaria.
Il papa, venerdì 27 marzo 2020, in piena emergenza coronavirus, è apparso sul sagrato spoglio della Basilica di San Pietro a dare la benedizione “Urbi et Orbi” (“alla Città” e “al Mondo”): un appuntamento imperdibile di condivisione e di speranza per gli uomini e le donne di fede.
Ma indubitabilmente un evento memorabile per tutti, che finirà nei libri di storia e rimarrà impresso nella mente di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di viverlo.
È sera, ha appena smesso di piovere e Roma appare disgraziatamente meravigliosa.
Non c’è anima viva e un uomo vestito di bianco cammina da solo nel vuoto, per consegnarci parole grandi e invocare la benedizione di Dio.

Ha con sé solo l’icona della Salus Popoli Romani e il Crocifisso della Chiesa di San Marcello al Corso, mentre le televisioni di tutto il mondo sono collegate in diretta.
Gli occhi di chi guarda sono rapiti da una piazza muta e deserta, che rende tanta bellezza quasi dolorosa. Da un lato c’è la Basilica di San Pietro, dall’altro il colonnato di Gian Lorenzo Bernini, che sembra abbracciarci proprio come aveva previsto l’artista.
Nato a Napoli nel 1598, figlio di uno scultore, Gian Lorenzo raggiunse presto Roma, entrando nel circuito culturale più alto e rivoluzionario del tempo. Oltre ai dipinti e alle notissime sculture, si deve a lui il progetto della piazza più famosa del mondo, realizzata su commissione di papa Alessandro VII, a partire dal 1657.
Alla più piccola piazza trapezoidale, dove compare la grande scalinata, Bernini ne collegò un’altra di forma ovale, con al centro due fontane e un obelisco egizio, che decise di circondare da un unico colonnato dorico con 284 colonne sormontate da 162 grandi statue.
L’idea è geniale, accogliendo chi arriva in un grande abbraccio, come pare andasse spiegando con soddisfazione l’architetto e come dimostrato perfettamente in un disegno preparatorio.
Si esperimenta quasi fisicamente che ogni colonna sposta o assorbe un po’ dell’infinità dello spazio, e quest’impressione è rafforzata dagli sprazzi di cielo fra le colonne.
Rudolf Wittkower